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Al giorno d’oggi sono sempre più gli di imprenditori che, per diverse ragioni, optano per il trasferimento della residenza fiscale all’estero della loro società.

Si noti bene che nella maggior parte delle realtà imprenditoriali medio-piccole al trasferimento della residenza fiscale della società segue necessariamente il trasferimento della residenza fiscale dei soci delle stesse.

Accade spesso infatti che soggetti residenti in Italia costituiscano società in Paese esteri allo scopo di perseguire un risparmio d’imposta, continuando tuttavia a svolgere l’attività amministrativa day-to-day in Italia.

Questo tipo di fenomeno prende il nome di esterovestizione e comporta l’esposizione a onerose sanzioni tributarie e ancor di più l’esposizione dell’imprenditore a importanti rischi di natura penale.

Si rimanda ad un successivo articolo l’approfondimento del fenomeno dell’esterovestizione e i correlati profili sanzionatori e penali.

Perché trasferire la residenza fiscale all’estero?

Le motivazioni che possono portare un imprenditore italiano a trasferire la residenza fiscale della propria società all’estero, sono molteplici e di vario genere, ma nella maggior parte dei casi riguardano l’ottenimento di benefici fiscali.

È d’obbligo fin da subito precisare che, se la società trasferita all’estero conserva una stabile organizzazione (sia dichiarata che occulta) in Italia, quest’ultima viene in ogni caso assoggettata a tassazione in Italia per la quota parte di reddito ivi prodotta.

In altri casi, la motivazione può rinvenirsi nella sopravvenuta anti economicità a svolgere l’attività di impresa in Italia in considerazione degli elevati costi fissi di struttura (tra tutti il costo del lavoro) che possono facilmente diventare variabili se gestiti in outsourcing.

Un esempio sono le realtà societarie che esercitano attività di prestazione di servizi o distribuzione di beni tramite una piattaforma web (sito internet o e-commerce), senza che nessuna attività, se non di natura preparatoria, venga svolta in Italia.

Quali sono gli aspetti fiscali del trasferimento di residenza fiscale all’estero?

Il trasferimento della residenza fiscale di una società all’estero comporta, secondo il nostro ordinamento interno, l’applicazione di un’imposizione in uscita (cd. exit tax), come previsto dall’articolo 166 del TUIR.

Con la locuzione exit tax si fa riferimento all’imposizione diretta sulle plusvalenze realizzate in occasione del trasferimento della residenza fiscale verso un altro Stato.

Ai sensi della normativa fiscale domestica, il momento impositivo coincide con il giorno in cui il contribuente nazionale (la società italiana) perde la propria residenza fiscale.

Come anticipato, il trasferimento all’estero della residenza fiscale o della sede da parte di una società, è disciplinato dall’art. 166 del TUIR che prevede:

  • la presunzione di realizzo al valore normale (e pertanto possibile emersione di plusvalenza) dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale trasferiti all’estero che non siano confluiti in una stabile organizzazione in Italia;
  • un analogo trattamento ai componenti confluiti nella stabile organizzazione quando gli stessi ne vengano successivamente distolti;
  • la tassazione al valore normale delle plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero.

È doveroso specificare che l’ordinamento fiscale italiano non prevede alcuna exit tax collegata al trasferimento della residenza di persone fisiche che non esercitano attività di impresa.

Si rimanda ad un successivo articolo la trattazione dei criteri di determinazione dell’exit tax e gli aspetti procedurali da tenere in considerazione in caso di trasferimento della residenza.

Si ringrazia il Dottor Daniel Destro per la preziosa collaborazione nella redazione del presente articolo.

Pietro Cumpostu

Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti si occupa prevalentemente di consulenza fiscale nazionale ed internazionale, Transfer Pricing, riorganizzazioni societarie e operazioni straordinarie.

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